Le tempistiche di questo post ingannevolmente vicine alla Pasqua potrebbero far dubitare i distanti lettori.
Non è l'effetto pasquale che mi porta a riflettere sull'essenza del mondo e di dio (qualsiasi) ma è la scoperta che ogni volta
che mi capita di leggere, ascoltare o avvicinarmi a qualcosa legato ad una particolare religione (di cui parlerò sotto) mi sento riempire di gioia.
Alla fine non sono ateo. Ritengo sia una scelta di vita e di pensiero condivisibile e plausibilmente
giusto. Ma è importante credere in qualcosa e sapere che non sei solo, che esiste un disegno, che se tutto va male è per colpa di qualcuno ;).
Ho sempre rimandato il tutto al poi e mi sono sempre mantenuto vicino alla linea di pensiero di Pirandello:
"Io sono figlio del Caos e non allegoricamente, ma in giusta realtà" (Frammento d'autobiografia, 1893).
Oddio, è vero che Caos era il nome dato al colera in quegli anni, ed è questo che spinge il maestro a definirsi figlio del caos. In ogni caso la vedeva un
po' così (semplificato):
Nella vita e nel suo flusso eterno, Pirandello avverte da un lato disordine, casualità e caos, dall’altro percepisce disgregazione e frammentazione. Questi elementi, però, non si fermano alla realtà esterna: anche l’individuo, al suo interno, manca di unità e di compattezza, si sfalda e si disgrega in frammenti incoerenti. Tuttavia, secondo lo scrittore, ciascuno di noi tende a fissarsi e irrigidirsi in una forma che vorrebbe presentarsi come unitaria, organica e compatta. Inoltre, tutti coloro che ci osservano, ci attribuiscono una forma diversa da quella in cui noi stessi ci riconosciamo; per di più, anche la società, con le sue regole e istituzioni, ci impone una "maschera". Di conseguenza, ognuno tende a deformare la realtà secondo la personale visione del mondo, e l’immagine di ciascuno cambia con il mutare della prospettiva. Solo l’ipocrisia delle istituzioni, delle ideologie e delle regole che l’uomo stesso si è dato tiene uniti questi frammenti in una apparenza, dietro la quale tuttavia scorre inarrestabile la vita. L’uomo, a dispetto dei suoi sforzi, non riesce a penetrare fino in fondo nel labirinto delle apparenze, né a conoscere ciò che è racchiuso in quelle forme di cui egli è responsabile ma anche prigioniero; per questo si dibatte, impotente, nella loro trappola, ed è costretto a subire quelle leggi che sente false, ma che rappresentano la sua unica possibile identità.
Ecco, trovo ci sia tanta verità in questo concetto, ma questo concetto non mi rende completamente quieto.
Diversamente provo gioia e quietezza ogni volta che tocco qualcosa legato allo Shintoismo. Ebbene sì, mi sento, e mi sono sempre sentito, vicino all'animismo (caos) e questa particolare forma di animismo si sposa con la mia etica (quella che è nata, cresciuta e in un qualche modo si è stabilizzata con gli anni).
E' chiaro che lo Shintoismo è un misto di Buddismo, Animismo Giapponese, Taoismo e quant'altro (tra cui l'influenza imperiale). Ma questo risultato filosofico è piacevole.
« Sii caritatevole con tutti gli esseri: l'amore è la prima caratteristica del divino. »
« Non vi è posto per l'egoismo nello Shinto. »
« Ammettere uno sbaglio è il primo segno di una grande saggezza. »
Sono concetti speciali, che non riesco a seguire ovviamente, ma che trovo emblematici e veri.
Esiste un comandamento assoluto "Vivi una vita semplice ed in armonia con la natura e le persone". Cazzo. E' tutto qui. Sono Shintoista (ma non venero l'imperatore) e non faccio pistolate con i kami.
venerdì 21 marzo 2008
In Shinto we trust
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
io induista e tu shintoista
ma dove cazzo siamo finiti
Posta un commento